Foto (marco.manieri/flickr)
... segue da martedì 19 maggio 2009
Mi ha chiamato quindici minuti fa. Stavo dormendo come al solito faccio verso le sei e mezzo del mattino. - Oi, facciamo colazione assieme. Alle sette e mezza al solito bar. A dopo. - Neanche il tempo di rispondere con qualche gemito mattutino che aveva già attaccato. Mi son dunque svegliato. Ed in quindici minuti ho cercato di riassumere la mia vita dell’ultimo anno. Cosa è cambiato. Dove sono migliorato. Come posso nascondere il senso di frustrazione e fallimento che ha ormai preso possesso di tutto il mio corpo, fino a palesarsi al primo sguardo.
“Il lavoro è sempre lo stesso. Continuo a vivere in un appartamento con studenti che non fanno altro che sperare nel futuro. La ragazza che frequento non mi ha convinto a cambiare neanche un millesimo delle mie abitudini. La droga non mi serve più ad aprire la mente ma solo a sedarla per prendere sonno. E anche l’ultimo natale l’ho passato con i miei genitori e tutta la famiglia allargata.”
Mi alzo e vado a lavarmi. Sono quasi le sette e un quarto. Arriverò in ritardo al bar.
Ma ovviamente lui è più in ritardo di me. Mi siedo ed ordino un cappuccino. Non ho voglia di aspettarlo. Prendo il giornale ed inizio una svogliata lettura, delle immagini più che altro. Solite foto di politici. Soliti grandi industriali che parlano e sindacalisti che miagolano. Incidenti. Omicidi rabbiosi. Prostituzione e religione. Guerre sante. Mi rassereno per il fatto che neanche il mondo cambia negli anni.
- Posso sedermi? - Una strana voce di ragazza interrompe una sorsata di cappuccino.
- Sto aspettando un amico ma se vuole può accomodarsi…
Metto a fuoco la ragazza e cerco di andare al di là del seno troppo prosperoso per riuscire a vedere l’intero volto: io sono seduto e lei, in piedi, mi punta addosso le sue armi. Ma proprio quando mi svincolo portando indietro il busto ed alzando il collo oltre la scollatura del vestito, proprio in quel momento in quella ragazza riconosco Luca.
- Chiamami pure Esperanza. - Rimango fermo col cappuccio in mano. Sto cercando a fatica di non farlo cadere. Lei si siede.
- Sei cambiato…
- Lo so. È stato difficile ma credimi: sto molto meglio adesso. Dall’ultima volta che ci siamo visti ne sono cambiate di cose. Dopo il funerale del mio vecchio, sai che è morto l’anno scorso?, sono partito per la Spagna. Viaggio di riflessione. Ed ho finito col riflettere che volevo provare a passare dall’altra parte. Volevo provare a fissare il mio di seno. Essere sedotto come ho sempre fatto io con le donne, come hai sempre fatto anche tu. Ti ricordi il morso sulla chiappa della tipa spagnola? Come si chiamava?
- Gui… Guiomar… - balbetto una risposta.
- Sì esatto! Credo sia lei. Comunque sono restato un po’ di tempo a Madrid. Ho vissuto per mesi in una camera di albergo e mi ubriacavo tutte le sere. Una sera sono finito in un locale “alternativo”, nella famosa Chueca, hai presente? E lì un ragazzo si avvicina e inizia a parlarmi. Io non capivo nulla. Ero solo un po’ nauseato e volevo vomitare. Penso di averlo fatto. Ho vomitato e la mattina dopo mi sono svegliato nel letto di sto tipo.
- Dovresti provare anche tu. Non fa male come pensavamo. È diverso. Una sensazione mai provata prima. Stimola le terminazioni nervose che abbiamo..
- Posso portare qualcosa per la signorina? - La cameriera interrompe il discorso per prendere le ordinazioni, e mentre lo fa ammicca con un sorriso a Luca Esperanza.
- Un caffè grazie. - Risponde lei con voce falsata, per poi riprendere a parlarmi, una volta allontanata l’estranea, con la sua vecchia voce.
- Comunque ho cambiato la mia merdosa vita. Ho scoperto che il cambio che cercavo lo avevo sempre avuto sottocchio e semplicemente non lo vedevo. Tutto quel fissare di tette, ora lo comprendo. Altro che invidia del pene. Non hai mai capito un cazzo di psicologia.
- E senti – prosegue lui – come va? Anzi non dirmelo. Non voglio pensarti ancora con quel lavoro, in quella casa e con una donna che non riesce neanche più a farti smettere di dormire guardando vecchie puntate di Santoro. Ma per fortuna ora ci sono io…
Arriva il caffè. Altro sorriso ammiccante tra i due.
- Ti ho pensato in quest’anno e per una volta ho deciso di farti un regalo. Questo - tira fuori da una orrenda borsetta rosa una busta – è un biglietto di sola andata per il Portogallo. Ho pensato che ormai la Spagna è troppo blasonata e poi in Portogallo c’è Vincent, un mio uomo. Lui è architetto ed ha bisogno di un giovane creativo come te per alcuni lavori. Gli ho parlato molto bene di te. Non deludermi.
- Adesso però devo andare. Devo far prendere un bello spavento a mia madre. Speriamo le regga il cuore. Mentre esco ti chiamo un taxi. L’aereo parte tra – guarda l’orologio d’oro sotto il polsino – un’ora e mezzo. Meglio non perdere tempo. Nella busta troverai le indicazioni per metterti in contatto con Vincent. Un bacio caro.
La vedo avviarsi verso l’uscita a passo spedito.
Sono ancora intontito quando la cameriera mi porta il conto. Lo leggo. Pochi euro per il caffè e il cappuccino. Sto per pagare quando mi squilla il cellulare. Mi chiamano dall’ufficio. Primo problema della giornata. Guardo il piccolo schermo senza capacitarmi di quello che sta succedendo. Fuori vedo fermarsi il taxi che abbassa il finestrino e parla con Esperanza, la quale mi indica e poi va via. A passo spedito.
Lascio il cellulare squillante al posto dei soldi. Metto la busta nella tasca della giacca e corro verso l’uscita.
Salgo sul taxi che parte direttamente in direzione aeroporto e butto la testa indietro sui sedili cercando un punto fermo. Lungo il tragitto estraggo dalla giacca la busta. Controllo il biglietto: per Lisbona, delle nove e venticinque. Poi cerco dentro la busta le indicazioni per entrare in contatto con Vincent ma trovo solo un foglietto con una scritta a rossetto: “non voltarti mai”.
Foto (PaoloNollo/flickr)
Fine
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