martedì 17 febbraio 2009

Il vecchio e il mare 2/2













Foto (Ddc+/Flickr)



... segue da martedì 10 febbraio 2009


Forse a guardarmi nel fondo del mare ballando con le piante subacquee mi avreste preso per un idiota. La parte di voi che siete i miei amici siete avvezzi a queste mie follie, ma coloro che mi conoscono solo per avermi visto in qualche foto su un podio, sarebbero d’accordo con le mie ex: sono un personaggio paradossale.

Ballavo appunto. Le braccia alzate verso un cielo che non era cielo. Senza senso del ritmo le spostavo ora a destra, ora a sinistra. Ora in alto, ora in basso. Sentivo le piante offese di questo mio intromettermi senza cognizione di causa. Così ritornai a chiudere gli occhi ed ascoltai. Non erano le orecchie quelle che le avvertirono per prime. Fu la pelle che sentì il moto. I muscoli rilassati che iniziarono a seguirne il movimento. Le correnti erano arrivate, e proprio nel momento in cui inconsciamente le stavo aspettando. O può essere che c’erano sempre state, ma solo allora me ne resi conto.

Mi sollevarono dal mio lettuccio di sabbia e mi trasportarono verso altre direzioni. Iniziai a sentirmi davvero acqua. Iniziai a pensarmi davvero come parte di loro. Non opponevo resistenza al loro viaggiare. Chiudevo gli occhi e ci vedevo. Li riaprivo solo per osservare con maggiore attenzione.

Decisi che ne avrei provate di diverse. Decisi che le avrei conosciute una per una. Non tutte perché sarebbe stato troppo presuntuoso, ma una per una quelle che mi si presentavano davanti. Passare da una corrente all’altra non era difficile. Da sole si intrecciavano fra di loro e in quel momento, al momento giusto, bastava farsi trascinare dalla nuova arrivata, conoscerla e aspettare la prossima unione. Modestamente, la scelta del momento giusto non mi creava molti problemi. E’ come all’arrivo della “T”: inizio a pensare sia una mia dote naturale non sbagliare il momento giusto. Una dote scritta nei cromosomi. Una di quelle per le quali devi ringraziare mamma o papà o uno dei loro genitori o parenti. Insomma: il passaggio era per me un gioco da ragazzi, fin quando…

Fin quando mi feci trascinare da una corrente diversa dalle altre. Questo non sarebbe strano visto che ognuna ha le sue peculiarità, ma la nuova corrente aveva una peculiarità totalmente differente dalle altre. Non la velocità, non le emozioni che richiama alla pelle, non il panorama del suo tragitto, ne la direzione. Era la sua temperatura. Era una corrente d’acqua calda.


Immaginate l’idillio che regnava in tutto il mio corpo. Membra, pelle, ossa, cuore, cervello. Tutto trovava un suo perché in quella corrente calda. Ridevo. Ero felice. Nuotavo. Al caldo.

Non riesco neanche a raccontarvi le emozioni che nacquero in quei momenti. Avevo trovato il mio perché. Solo non me ne capacitai abbastanza.

E infatti pensai che la cosa più logica fosse cambiare nuovamente corrente. Non potevo fermarmi senza provarne altre. Ero acqua e come tale dovevo seguire il destino dell’acqua. Ero corrente e come tale dovevo viaggiare con le correnti, attraverso le correnti, senza fermarmi. Immaginate se le correnti decidessero di non incontrarsi più. Il mare diventerebbe un insieme di vortici e l’acqua non si mischierebbe più. I pesci dovrebbero saltare da un vortice all’altro rischiando ogni volta la morte e se non saltassero il loro destino si ridurrebbe in attesa. Attesa di morire.

La corrente calda si incrociò presto con un'altra e io la lasciai con la promessa di un rincontro. Una volta dentro la nuova corrente mi accorsi di conoscerla già. Ne assaporai con amarezza il gelo che si portava con se. Un gelo al limite del sopportabile. Un gelo che nel viaggio avuto in precedenza con lei non avevo notato. Ci ripensai. Iniziai a nuotare con velocità verso la corrente appena lasciata. Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Aria… aria? Ebbi improvvisamente bisogno di aria. Persi l’equilibrio. Non ero più acqua. Non ero più corrente. Ero io: un nuotatore. Mi trascinai verso un piccolo punto di luce. Le braccia verso l’alto per avvisare i polmoni dell’arrivo. Per dire loro di prepararsi a respirare.

Aria. Aria fredda. Legno. Legno umido. Ero spuntato proprio sotto il molo. Respirai.

Era notte e stava piovendo. La luna si nascondeva dietro le nuvole cariche d’acqua. Le gocce mi davano fastidio. Mi aggrappai al piano del molo e mi issai fino a caderci sopra. Morto.

Altre braccia mi trascinarono portando il resto del corpo sul molo. Mi girarono e mi guardarono dritto negli occhi. “Sei stato fortunato, – dissero – l’ultimo che ha viaggiato attraverso la corrente calda è morto. Era il Vecchio Pescatore che ha lasciato il suo nome a tutta la baia. Dicono che si allontanò inseguendo un pesce, ma in verità cercava qualcosa di più importante. La cercava per l’ultima volta.”


Tutta una vita passata a nuotare, e mai avevo visto il mare. Il vecchio, proprietario delle braccia, mi portò in una baracca che presumo fosse casa sua. Mi diede dei vestiti asciutti. Dando uno sguardo in giro, fu per vergogna che non gli chiesi un accappatoio nel quale ricercare il calore appena perso. Oppure fu perché ero consapevole di non poter provare più nessuna emozione in quel vestito di panno.

Non vinsi più nessuna gara da quel giorno. Non lo desideravo più.

La prima volta che mi tuffai nuovamente nella piscina arrivai vicino al fondo e per la prima volta guardai la linea nera da vicino. Erano tante mattonelle scure posate una dopo l’altra. E neanche ben allineate. Uscii dall’acqua correndo spaventato e arrivato negli spogliatoi piansi.

Lasciai la città. Lasciai l’appartamento. Lasciai le coperte. Lasciai Camilla. Mi trasferii nel paesino cresciuto in riva alla baia del Vecchio Pescatore. Andai a vivere nella baracca a fianco a quella del vecchio delle braccia. Appena lo vidi gli regalai il mio accappatoio, non so perché, ma in fondo non tutto ciò che si fa deve avere una motivazione alle spalle.

Ogni giorno lo aiuto a pescare con le reti dalla sua barca. Ogni giorno remo sopra le correnti e osservo l’acqua muoversi sotto la forza dei miei remi. Piccoli mulinelli nascono alla fine di ogni tocco.

Vivo qui da ormai diversi anni, aspettando il momento giusto per poter tornare a cercarla.